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La ricerca si propone di investigare le problematiche suscitate dalla diffusione delle c.dd. clausole di irresolubilità (nelle versioni soft e hard) al fine di saggiarne validità ed efficienza alla luce dell'art. 1453 c.c. e dell'intero ordinamento giuridico. In seguito all'analisi critica delle opinioni che le destinano inesorabilmente all'invalidità se non all'illiceità, nel contributo si prova a svolgere un percorso ricostruttivo alternativo che, tra una pars destruens e una pars costruens, giunge a ritenerle normalmente ammissibili (unitamente a quelle c.dd. di exclusive remedy). Invero, i rimedi predisposti dal legislatore a protezione dell'alternativo interesse della parte fedele (art. 1453 c.c.) sono, nella prevista dicotomia (risoluzione/manutenzione), nella disponibilità di quest'ultima e, per l'altro, la loro esclusione - quand'anche riguardasse entrambi - non riuscirebbe ad inciderebbe (dissolvendolo) sul vincolo contrattuale sinallagmatico, che nella programmazione strutturale (e non attuativa) delle reciproche prestazioni rinviene uno dei tratti caratterizzanti la causa negoziale. Gli ulteriori strumenti difensivi dell'eccezione di inadempimento (ove anch'essa non esclusa) e, in ogni caso, del risarcimento del danno si pongono a protezione di una convenzione che continuerà a trovare fondamento nella sua giustificazione causale. Infine, la formulazione delle clausole potrà prescindere dagli indici di rilevazione dell'inadempimento alla stregua degli stati soggettivi di controparte (dolo e colpa grave), in quanto la disciplina prescritta dall'art. 1229 c.c. si rivela incongruente rispetto alla questione che esse pongono all'interprete.
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