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Editore: ABE
Reparto: Letteratura italiana: critica
ISBN: 9788872971994
Data di pubblicazione: 14/10/2025
Numero pagine: 112
Collana: Uomini illustri
«I funerali di Francesco De Sanctis si svolsero in Napoli, il 4 gennaio 1883... Il carro funebre era tirato da dieci cavalli bardati, portanti ognuno sulla gualdrappa la stella d'Italia: il cocchiere e i palafrenieri avevano le coccarde di colori abrunate. La bara era ornata di ghirlande e corone tra cui alcune simboleggiavano la Camera, il Senato ed i principali municipi d'Italia... Il funerale di De Sanctis rappresentò per l'Italia un lutto nazionale, ma per Napoli fu un evento solenne, grandioso, eccezionale... Ma il saluto più simpatico, più affettuoso, più travolgente a Francesco De Sanctis lo die' l'anima di Napoli che avvertì col suo popolaresco, ma sicuro intuito, che non s'era spenta solo una fulgida luce intellettuale, ma era venuto meno un gran cuore, sicuro e schietto, aperto a tutti i palpiti, a tutti gli entusiasmi. Il povero Don Vito [dal quale noi carissimo figlio discendiamo], fratello del defunto, piombato da Morra a Napoli per rappresentare in qualche modo la famiglia d'origine, guardava (mi diceva Benedetto Croce) attonito e stupefatto la fiumana popolaresca, il mareggiare delle corone e delle insegne, dei vessilli e dei gagliardetti, e ripeteva trasecolato: 'Vi' che t'ha saputo fa' Ciccillo'... La frase di Don Vito sarebbe piaciuta al De Sanctis assai più del librone e della tomba che lo scultore Belliazzi gli approntò, con quella manierata freddezza che era nello stile del tempo, nel recinto degli uomini illustri a Poggioreale». Questa è la narrazione di Edmondo Cione. È proprio vero che la morte svela la vita. Francesco De Sanctis è il mio compagno di viaggio. Segreta guida. Conforto. Il suo grande dolore, la sua resistenza: mai la resa. La sua forza è gioia di vita. Meraviglioso: quel guardare il cielo, quel saper vedere dentro, fuori e lontano. Caro Francesco ha lasciato in me luminose tracce. Con questo libro ho cercato di liberare il Nostro dai paroloni dei 'dottoroni' da ciò che il critico di Morra ha sempre combattuto. A tal proposito ricordo l'indignazione di zio Paolo De Sanctis, fratello di mia nonna, che nell'ascoltare i comizi dei politici di turno contestava il De Sanctis ideologizzato. Il Nostro antenato è straordinaria testimonianza di vita, di speranza. Ha conosciuto la notte oscura del carcere, la solitudine dell'esilio, non si è lasciato però travolgere dalla disperazione. L'esperienza del dolore gli ha dato sempre più forza. Ha lottato contro l'aridità e la desertificazione delle emozioni. Questo libro, caro Francesco, nasce dall'amore paterno. Tu, studente, in dialogo immaginario con l'antenato. Un dialogo che tocca con passione, essenzialità, chiarezza i temi della vita, dell'arte, della politica. Ricordo: avevo dieci anni. Indossavo il vestito della prima comunione. Con la littorina nella stazione di Montefalcione raggiunsi Morra. Linea ferroviaria Rocchetta S.Antonio, voluta dallo stesso De Sanctis. Mio padre mi affidò all'amico ferroviere. E suvvia!, inizia il mio viaggio. I miei occhi di bambino andavano man mano scoprendo la verde Irpinia, la nuova luce di Morra, tutti i luoghi desanctisiani, la sua casa, il focolare domestico, la culla di ferro, dove sono nati i nostri antenati. Custode di memorie mia madre. Zio Mimì: quest'ultimo straordinario narratore, capace di sintesi fulminanti. Di nonna Teresa Francesca De Sanctis ho un vago ricordo. Austera, vestita di nero sulla soglia della casa mi guardava dall'alto. Così la ricorda l'immaginetta: 'visse fra i riflessi del genio'. Figlio, scorrendo l'albero genealogico, vediamo che noi discendiamo dal fratello di De Sanctis, Vito (1824-1889), dal figlio Carlo (1854-1952) e dalla nonna Maria Francesca (1884-1954). Vito seguì il generale Pepe a Venezia e dopo l'impresa per diverso tempo fu in prigione a Brindisi e il fratello Francesco lo soccorse inviandogli sei ducati al mese. Ma l'aiuto è soprattutto spirituale. Infatti da Cosenza, febbraio 1850, il Nostro così scrive al fratello: «Tu non ti devi avvilire.
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