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Quella che si configura a Gradisca d'Isonzo è una sorta di quadreria combinatoria del disegno novecentesco: un affascinante tessuto visivo composto da opere su carta provenienti da collezioni private, normalmente sottratte allo sguardo del pubblico. Un'occasione preziosa, dunque, per accedere a un patrimonio spesso celato, emerso in questa sede come da una camera del tempo. Ogni collezione, d'altronde, e sempre un dispositivo pluritemporale: una piattaforma trasversale in cui si stratificano temporalità disgiunte, ritmi dissonanti, desideri spesso mossi da tensioni estetiche sincere ma anche da un'irriducibile componente narcisistica. E tuttavia è proprio da questo intreccio di volontà e visioni che la storia dell'arte si alimenta, così come lo spazio museale, luogo per eccellenza della condivisione estetica e della memoria culturale collettiva In questa prospettiva, l'opera d'arte che riaffiora dal fluire indistinto degli eventi assume la forma di un relitto restituito alla riva dopo una tempesta: testimonianza residua, ma eloquente, di un naufragio della memoria, pronta a essere riassemblata, riletta, reinserita in un nuovo orizzonte interpretativo. Il nucleo di opere qui presentato, per la prima volta esposto in un contesto museale, risponde a una precisa volontà di disvelamento e restituzione. Trascolora dalla fruizione privata alla dimensione pubblica, trasformando un piacere individuale, o per pochi, in un atto concreto di generosità: un'offerta tangibile di bellezza, da condividere sensorialmente e intellettualmente.
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