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Dalla genesi della proprietà privata "terriera" formulata da Locke, alla nascita ottocentesca della geografia politica, in cui compare la nozione di Lebensraum, lo "spazio vitale" rivendicato dal nazismo, fino alla recente riproposizione del settler colonialism, la "terra" è stata esplicitamente pensata dal soggetto occidentale, sia nella sua figura direttamente autoritaria, sia in quella liberale, come oggetto, o meglio come campo perimetrato e innervato da brutali logiche politico-sociali, che a partire dagli assi inclusione/esclusione e appropriazione/espropriazione, la rendono "territorio". In tale prospettiva genealogica, che riduce il 'mondo' a bottino di caccia, la globalizzazione economica, oggi informatica, riflette la matrice antropocentrica della modernità: la potenza dell'astrazione e il primato dell'immateriale, sostenuti dalla tecno-scienza e proiettati al parossismo del "denaro che produce denaro", appaiono ancora indissolubilmente legati al cieco furore della distruzione e dell'acquisizione diretta.
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